Come tecnici siamo spesso chiamati a svolgere delle operazioni peritali, vuoi come CTU, vuoi come CTP. In questo articolo vogliamo analizzare il difficile ruolo del CTU che spesso trova a doversi districare non solo con le Parti, con i Legali, con la bulimia di documenti ma – a volte – anche con le offese o gli attacchi di una Parte.
Di contro però vogliamo anche analizzare le conseguenze di un eventuale “cattivo operato” del CTU stesso.
Perché non sia assolutamente detto che i CTU sono infallibili. Dunque come è giusto che un CTU si difenda, è anche giusto che un CTU lavori in maniera professionale e corretta.
Analizziamo il ruolo a volte messo in discussione del CTU.
Spesso vengono messi in discussione la relazione peritale, l’apporto tecnico, il ruolo e la sensibilità discrezionale.
Il CTU viene definito “l’occhiale del Giudice” (Marco Rossetti). E’ noto infatti come, per poter essere iscritti nelle liste dei CTU, questi ultimi debbano avere per legge (ex Art. 15 co. 1 disp. att. c.p.c.):
- il possesso di una speciale competenza tecnica in una determinata materia;
- una condotta morale (e politica) specchiata;
- l’iscrizione nelle rispettive associazioni professionali.
Inoltre nessuno può essere iscritto in più di un Albo.
L’articolo innanzi citato formalmente esigeva il possesso di un requisito (Punto 2) oggi abrogato: quello della condotta politica specchiata. Norma questa ultima abrogata in quanto assolutamente in contrasto con l’art. 22 della Costituzione: Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome. Ed anche il Punto 3 ha avuto una revisione, vedi l’Art. 1 del D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 369 – Soppressione delle organizzazioni sindacali fasciste e liquidazione dei rispettivi patrimoni (G.U. 16 dicembre 1944, n. 95, Serie speciale): Sono sciolte …omissis… la Confederazione fascista dei professionisti ed artisti.
Il Punto 3 viene identificato nell’Art. 1 del D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 382 – Norme sui Consigli degli ordini e collegi e sulle Commissioni centrali professionali (G.U. 23 dicembre 1944, n. 98): Le funzioni relative alla custodia dell’albo e quelle disciplinari per le professioni di ingegnere, di architetto, di chimico, di professionista in economia e commercio, di attuario, di agronomo, di ragioniere, di geometra, di perito agrario e di perito industriale sono devolute per ciascuna professione ad un Consiglio dell’Ordine o Collegio, a termini dell’art. i del regio decreto legge 24 gennaio 1924, n. 103.
Il Codice di Procedura Civile italiano (chiamato anche Codice Grandi-Calamandrei) è stato approvato con il Regio decreto 28 ottobre 1940, n. 1443 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n. 253 del 28-10-1940.
Pur rimanendo, insieme con la Costituzione, un caposaldo del nostro operato e delle nostre querelle, alcune cose da allora sono inevitabilmente cambiate.
Oggi ci troviamo ad avere come necessari questi requisiti:
- il possesso di una speciale competenza tecnica in una determinata materia;
- l’iscrizione nei rispettivi Ordini/Collegi/Albi professionali;
- nessuno può essere iscritto in più di un Albo.
Per quanto al Punto 1: Il possesso della speciale competenza tecnica, questa si dimostra con puntuale curriculum vitae et studiorum che viene accuratamente valutato dal Comitato del Tribunale preposto a tale compito.
Gli altri due Punti non sono genericamente mai messi in discussione.
Tutto ciò premesso sembrerebbe che nulla potrebbe essere eccepito all’operato del CTU, invece accade che non sempre sia così.
Dopo il giuramento del CTU, fissati i termini per la consegna della bozza di relazione peritale, questa viene sottoposta al giudice ma anche alle Parti che fanno, qualora ritengano opportuno, delle considerazioni o contestazioni sulle argomentazioni del CTU.
Quest’ultimo, non deve mai rifiutarsi di accogliere e valutare le considerazioni delle Parti e – se del caso – accoglierle interamente o anche parzialmente. Gli errori sono sempre possibili e in questo rientra anche la collaborazione civile tra tutti, nell’obiettivo finale che deve sempre essere quello di una puntuale analisi dei fatti per una evoluzione/conclusione la più attendibile possibile.
Accade però che il CTU venga implicitamente o esplicitamente accusato di essere incompetente. Buona prassi è un atteggiamento di risposta asettico e di non reazione alle provocazioni, ma anzi di conferimento con il Giudice, al quale esporre gli accadimenti. Buona prassi è anche quella di replicare con formule sintetiche tipo “fatta salva ogni ulteriore eventuale iniziativa a tutela delle propria onorabilità e professionalità”.
Buona prassi è anche quella di non evidenziare propri commenti o riflessioni su quanto riscontrato nelle ricerche. La relazione deve essere asettica e puntuale, i commenti non servono.
A volte accade che l’operato del CTU venga seriamente messo in discussione.
Nel voler comunque specificare che una errata CTU comporta anche responsabilità penale – che di seguito vedremo – qualora accertata, il CTU ha tutto il diritto di adoperarsi per proteggere se stesso e la propria professionalità.
Le modalità di autotutela che un CTU può intraprendere per “difendere” il proprio operato sono svariate.
Analizziamo dei casi.
1° caso: il CTP offende la reputazione del CTU nella relazione di parte. Di recente la Cassazione penale, sentenza n. 12490/2020, sentenzia che scatta la diffamazione aggravata. Vediamo che cosa è successo. Accade a Torino che un CTU venga offeso da un CTP sia nelle osservazioni della relazione di parte che nelle osservazioni alla relazione del CTU offendendo quindi la sua reputazione. Quest’ultimo lo cita in giudizio chiedendo un risarcimento danni di € 7.000,00. Il CTP viene condannato ma non ci sta e porta la questione davanti alla Corte Suprema. I motivi che adduce a proprio favore sono ben tre.
- Pur se con toni aspri il CTP ritiene di avere ragione circa l’operato messo in discussione del CTU (in questo caso un medico). Ritiene dunque di essere stato condannato non già per l’esattezza delle sue osservazioni bensì per il tono delle parole usate;
- Non ritiene che la Corte di Appello gli abbia considerato prevalenti le attenuanti generiche: non ritiene di essersi espresso in maniera aspra, anche considerate le circostanze;
- Viene accampato un presunto discredito proprio nei riguardi del CTP ricorrente. Non riconosce la condanna pecuniaria da lui dovuta di € 7.000,00.
La Corte Suprema rigetta il ricorso nella sua interezza e conferma la sentenza di primo Appello e condanna il ricorrente CTP a rifondere danni, spese processuali e quant’altro sia intervenuto. La condanna è per diffamazione aggravata. La Corte ribadisce nella motivazione che il diritto di critica trova un preciso limite nella continenza. Per cui se i toni impiegati sono eccessivamente aspri, offensivi e denigratori rispetto a ciò che si deve esprimere si incorre nel reato di diffamazione.
Cassazione Penale Sentenza n. 12490/2020.
2° caso: l’avvocato di Parte si esprime in maniera diffamatoria nei riguardi del CTU. Un’altra sentenza della Corte di Cassazione, la n. 12402 del 21.05.2013 si è pronunciata sul ricorso promosso da un avvocato condannato, nei precedenti gradi di giudizio, al risarcimento danni proposta da un architetto, nella sua qualità di consulente tecnico d’ufficio, per affermazioni diffamatorie contenute nell’istanza di sostituzione CTU.
In particolare accadeva che nel corso del giudizio l’avvocato qualificava come “FALSA” la risposta fornita dal CTU, affermando che: “come al solito il C.T.U. non risponde e la risposta è palesemente priva di ogni pregio e falsa” ovvero utilizzava l’espressione “SEDICENTE TECNICO“.
Qui addirittura le affermazioni, a parere tanto dei giudici di merito quanto dei giudici di legittimità, TRAVALICANO I LIMITI DELLA DIFESA E CONTINENZA lasciando in tal modo intendere che il CTU si qualificava tecnico nella consapevolezza di non esserlo.
Viene ribadito che erano state messe in discussione la professionalità e le capacità dell’architetto non solo nel caso di specie, ma in generale proprio. Questo tramite la seguente affermazione: “chi non è in grado di fare il perito, soprattutto per le perizie giudiziali che sono assai delicate per i risvolti che esse necessariamente comportano, dovrebbe lasciare il compito a chi è preparato in merito”. Davvero inaudita questa affermazione soprattutto se si pensi che a scriverla sia stato un avvocato, ben consapevole delle conseguenze delle proprie affermazioni.
Conseguenze che non sono tardate.
Infatti, osservano gli ermellini, che nonostante la speciale esimente contemplata dall’art.598 c.p. “per offese in scritti o discorsi pronunciati dinanzi l’Autorità Giudiziaria” con cui il legislatore ha cercato di tutelare le parti del processo garantendo loro la più ampia libertà nell’esercizio del diritto di difesa, troverà applicazione sempre che le offese riguardino in modo diretto ed immediato l’oggetto della controversia ed abbiano rilevanza funzionale.
E dunque le offese, semmai, devono essere pertinenti e concernere l’oggetto della causa, ossia devono essere direttamente connesse al tema della causa, con la conseguenza che tali presupposti non ricorrono ove le offese non siano pertinenti e si risolvano in giudizi apodittici sulla persona offesa. (cfr. Sentenza_Cassazione_n. 12402-2013)
La Corte, alla luce delle motivazioni esposte ha confermato le decisioni adottate nei precedenti gradi di giudizio condannando l’avvocato al risarcimento del danno non patrimoniale arrecato al consulente tecnico d’ufficio, quale sofferenza patita dalla sfera morale del soggetto leso che si realizza, nel caso di diffamazione, nel momento in cui la parte lesa ne viene a conoscenza (cfr. Cass. 10980/2001).
Viene riconosciuto il “danno non patrimoniale”. Va ribadito.
Si vede come in entrambe le sentenze ci sia un esplicito richiamo al requisito della CONTINENZA (cioè della Moderazione), richiamato dalla Corte, risulta operato per evidenziare il CARATTERE VOLUTAMENTE OFFENSIVO E IL TENORE OBIETTIVAMENTE ECCESSIVO delle espressioni rispetto al libero esercizio del diritto di difesa garantito dall’esimente in parola.
Passiamo ad analizzare invece il caso del “cattivo operato” del CTU, quando cioè questi redige una relazione peritale poco accurata, superficiale, se non addirittura maldestra. Oppure quando addirittura questi mandi perduti documenti del fascicolo. Oppure può anche accadere che la relazione peritale sia nulla nel momento che in questa si ravvisino giudizi attinenti al merito della decisione, così come pareri sulla fondatezza della domanda. A questo punto giova sempre ricordare che mai bisogna confondersi con l’attività di giudizio in senso stretto. Ma ancora possono avvenire altri casi della nullità della relazione peritale e per QUESTE altre possibilità si rimanda ai testi specializzati nella stesura della relazione peritale.
Qui si vuole principalmente mettere il punto su comportamenti atipici che il CTU non deve avere:
– compiere valutazioni di spettanza del giudice;
– accertare l’esistenza di norme;
– interpretare e valutare prove documentali, in quanto giudizio riservato esclusivamente al giudice.
In questi casi il CTU può arrivare ad essere sollevato dall’incarico su richiesta di una delle parti (ex Art. 196 c.p.c.: Il giudice ha sempre la facoltà di disporre la rinnovazione delle indagini e, per gravi motivi, la sostituzione del consulente tecnico).
Ritornando quindi al “cattivo operato” del CTU, può accadere che la relazione sia viziata da grossolani errori materiali e di concetto e che tutto ciò viene a costituire il presupposto della decisione del magistrato (può essere, per esempio, una conseguenza dell’aver assunto l’incarico senza avere l’adeguata specializzazione); può accadere la perdita della cosa controversa e dei documenti, ma anche l’omissione nell’eseguire accertamenti irripetibili.
Tutti casi questi nei quali si può configurare la colpa grave, o addirittura il dolo. Comportamento illecito perseguibile sia civilmente che, soprattutto, penalmente. Infatti i consulenti nominati dal giudice, così come le altre parti del processo, sono destinatari di sanzioni, civili e penali, nel caso in cui dovessero tenere una condotta contraria alla qualifica ricoperta.
La conseguenza può essere quella di condurre il Giudice ad una errata conclusione o, prima ancora, un procedimento viziato, tanto da danneggiare una o più Parti. La richiesta di un eventuale risarcimento dovrà essere commisurata al danno subito dalla consulenza errata, o infedele. Dal punto di vista penale, il consulente del Giudice rischia, inoltre, l’arresto fino a un anno e l’ammenda fino a 10.329 euro, come vedremo appresso.
Non va mai dimenticato che il CTU che sbaglia è obbligato a risarcire i danni causati alle parti. Tre sono le responsabilità del CTU:
- La responsabilità penale
- La responsabilità civile
- Responsabilità extracontrattuale e indebito soggettivo
Della responsabilità penale si occupa ampiamente l’art. 64 del c.p.c. Tale norma, innanzitutto, prevede che al C.T.U. si applichino le disposizioni del codice penale relative ai periti. L’articolo 64 stabilisce poi che, se il consulente esegue gli atti che gli sono richiesti con colpa grave, per lui è prevista la pena dell’arresto fino a un anno o dell’ammenda fino a 10.329 euro, con applicazione della sospensione dall’esercizio della professione di cui all’articolo 35 del codice penale.
La responsabilità civile del consulente tecnico d’ufficio per il suo operato viene sempre trattata nello stesso articolo 64 c.p.c. e prevede che, in ogni caso, è dovuto il risarcimento dei danni causati alle parti.
Infine vi è la responsabilità del C.T.U. di natura extracontrattuale. In questo caso e che l’onere di dimostrare di aver subito un danno dalla condotta del consulente gravi in capo a chi tale danno lamenti.
Indubbiamente questa è l’ennesima dimostrazione di come ogni ruolo, ogni compito, abbia i suoi lati delicati (e forse talvolta non tenuto conto dai più) che non bisogna assolutamente sottovalutare. L’atteggiamento in questo compito, come in tutti gli altri che i tecnici sono portati ad assumere, è sempre quello di agire con scienza e coscienza, perché nulla è dato per scontato o superfluo. Il destino, soprattutto quello economico, è spesso nelle nostre mani. Il nostro operato deve essere il più possibile insindacabile e inattaccabile. Il Giudice deve essere confortato nel suo lavoro dal nostro supporto e le Parti devono essere trattate con imparzialità da parte nostra. Anzi, nel caso si possa configurare un qualsiasi interesse da parte nostra nella vertenza (quale per esempio la conoscenza della situazione o di una Parte), sarà nostra cura ricusare l’incarico motivandolo adeguatamente come conflitto di interessi). Peggio sarebbe se questo interesse dovesse venire fuori durante la causa.