Collegata alla città di Ancona si è conclusa venerdì 26 marzo in webinar la XI Giornata Nazionale per la Sicurezza nei Cantieri promossa dalla Federarchitetti nella quale hanno partecipato rappresentanti delle istituzioni, vertici degli ordini professionali tecnici, magistrati e avvocati che si occupano del settore e vertici delle Associazioni di categoria.
Questa settimana pubblichiamo il contributo dell’On. Alessandro Amitrano – componente XI Commissione Camera (Lavoro Pubblico e Privato) edito sulla nostra rivista collegata alla manifestazione.
Il tema della sicurezza sul lavoro è, da tempo, al centro del dibattito istituzionale e politico. I media, a seconda della sensibilità e degli eventi di cronaca, gli dedicano spazio nei tg o negli approfondimenti giornalistici. Un tema ritornato al centro dell’attenzione anche a causa dell’emergenza da Covid 19. Ma la sfida non è ancora per nulla vinta: bisogna fare di più, e meglio. Intanto, iniziando a considerare questo tema una assoluta priorità, e non derubricarlo a questione solo “ciclica”. In occasione della Giornata nazionale sulla sicurezza sul lavoro celebrata nel 2020 il Capo dello Stato Sergio Mattarella ha significativamente sottolineato che “la sicurezza di chi lavora è una priorità sociale ed è uno dei fattori più rilevanti per la qualità della nostra convivenza”. Il Presidente si è altresì soffermato sulla necessità di “un’azione continua, rigorosa, di prevenzione”.
La sicurezza sul lavoro rappresenta infatti un valore comune non negoziabile, e costituisce la base imprescindibile di uno sviluppo economico sano e inclusivo, ancor più in questa fase connotata dall’emergenza sanitaria.
Un moderno, e strategico, processo di promozione della cultura della sicurezza e della salute sul luogo di lavoro – in particolare nei cantieri – deve però necessariamente compiere un salto di qualità: l’adempimento all’obbligo normativo, spesso inteso come onere e ostacolo organizzativo, non è l’unica condizione – ancorché necessaria – per gestire in maniera efficace la prevenzione dei rischi e la tutela di salute e sicurezza sul luogo di lavoro. Un adeguato sistema di prevenzione deve essere invece alimentato dalla consapevolezza di tutti, datori e lavoratori, e diventare componente essenziale di una gestione d’impresa sana ed efficiente. Il legislatore deve percepire l’urgenza di realizzare un’evoluzione della ratio della produzione normativa che sia in grado di integrare sempre più la dimensione individuale del diritto con la sua dimensione collettiva. Ma questo non può bastare. È prioritario avviare anche una grande campagna nazionale affinché si agevoli, a livello socio-culturale, la transizione in un sistema-contesto incentrato sulla tutela della salute intesa, secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, come stato di completo benessere fisico, psichico e sociale. Una sfida strategica e ineludibile per costruire un percorso di uscita quanto più rapida possibile dall’emergenza sanitaria ancora in corso.
Quello alla sicurezza sul lavoro è, oggi, diventato un approccio multidimensionale, che prende in considerazione molti aspetti – sanitari, fisici, psicologici, legali, sociali, culturali ed economici – e coinvolge diversi soggetti – istituzioni, parti sociali, imprese e associazioni – individuando come destinatario il singolo lavoratore, ma necessariamente inserito nella sua comunità di appartenenza.
Investire nella ‘cultura del lavoro’, in particolare sul concetto di ‘cultura della sicurezza’, non è più un’opzione, ma una necessità. Il passaggio dalla “comunicazione dei contenuti” alla “condivisione dei comportamenti” è ancora in itinere, e tutti i nostri sforzi devono concentrarsi sul completamento di questo processo. Smontando, in primis, un assioma: investire in sicurezza non vuol dire necessariamente essere costretti ad investire ingenti risorse economiche. Spesso sono sufficienti investimenti mirati e, dunque, strategici, in particolare sui coordinatori, sui ruoli di responsabilità e sulle relazioni tra i lavoratori, agendo sui comportamenti, smontando le cattive abitudini, favorire le buone prassi, stimolando la motivazione alla sicurezza e contrastare quelle convinzioni irrazionali che portano le persone ad una percezione non corretta del rischio, anche attraverso interventi formativi centrati sul fattore umano, che favoriscano una presa di coscienza di questi meccanismi. Interventi formativi che, auspicabilmente, dovrebbero diventare strutturali nelle nostre scuole e nelle nostre università, essere promossi in modo continuo e capillare nelle ore di lezione, nei laboratori e nelle dimostrazioni pratiche, per consentire la formazione e il consolidamento di una cultura della sicurezza che entri a far parte del patrimonio delle conoscenze e delle sensibilità dei giovani che si avviano ad entrare nel sempre più complesso e mutevole mondo del lavoro moderno.
Voler trasformare la cultura della sicurezza del lavoro da singola occasione di sensibilizzazione a vero e proprio insegnamento è una sollecitazione sostanziale, non certo rituale. Tra un’applicazione a macchia di leopardo alla pratica d’ogni giorno c’è una differenza enorme di visione di Paese, di come vogliamo crescere come comunità e investire nei nostri figli. Ne è una forte testimonianza il testo di una circolare ministeriale, che riporto nella sua parte essenziale: “è la scuola la sede primaria, istituzionale e strategica per la formazione di tale cultura e nella quale avviare un processo allargato di partecipazione, indirizzo e sensibilizzazione complessiva degli operatori scolastici e dell’utenza, non limitandosi ad interventi ed adempimenti di carattere meramente formale ovvero ad iniziative sporadiche ed occasionali. D’altra parte l’attuale normativa di riferimento ed i principi che la sottendono costituiscono la migliore opportunità per la promozione, a livello scolastico, di una vera e propria cultura della sicurezza e prevenzione, attraverso la valorizzazione dei rispettivi contenuti e con il coinvolgimento e l’adesione partecipativa delle varie componenti interessate, al fine dell’acquisizione, da parte degli alunni, della piena consapevolezza di una problematica di ampia rilevanza sociale nonché della valenza educativa sostanziale e prioritaria delle tematiche in questione e dei conseguenti comportamenti che, coerentemente, nel presente e soprattutto nel futuro, si troveranno in concreto ad adottare”.
Questa circolare è del 19 aprile del 2000. Quasi ventuno anni fa. In ventuno anni il mondo del lavoro è cambiato profondamente, la comunità sociale ha subìto fortissime modifiche, ed anche il concetto di “cultura della sicurezza” si è sempre più evoluto, integrandosi a fil doppio con quello della salute, ambito ineludibile e fondamentale. I mutati rischi in materia di sicurezza e salute in un mondo del lavoro in continua evoluzione continueranno a creare nuove sfide che devono essere raccolte con coraggio da tutti gli attori coinvolti. Nel frattempo, dare sostanza a princìpi illuminati già adeguatamente individuati nel corso degli anni, costituirebbe la prima, necessaria rivoluzione sociale e culturale di cui l’Italia avrebbe davvero bisogno. Rivoluzione di cui si deve fare protagonista attiva la politica, quella con la P maiuscola, che ha l’imperativo morale di dover affrontare la questione con norme, azioni, campagne informative, premiando i comportamenti etici, dando per prima l’esempio. E, soprattutto, agevolando un poderoso stanziamento di risorse, nel caso attingendo al Recovery plan, per potenziare strumenti, misure, controlli e tecnologie in grado di realizzare un vero cambio di passo. Elevando, con ciò, il tema a priorità assoluta sulla quale non dovrà mai essere consentito alcun calo di tensione.