Proseguiamo con l’intervento dell’ing. Giuseppe Pacelli, libero professionista e titolare CAP & G. Consulting,edito sulla nostra rivista collegata alla manifestazione.
“L’evoluzione del quadro normativo in ambito di sicurezza sui luoghi di lavoro ha riconsiderato la funzione ed il ruolo del lavoratore che da “oggetto della norma” assurge ad “attore centrale e primario artefice” della sicurezza. Il concetto stesso di lavoratore è profondamente cambiato nell’evoluzione del quadro normativo stesso anche alla luce dei significativi cambiamenti che hanno interessato il mondo del lavoro e, particolare, le modalità relazionali tra lavoratore e datore di lavoro.
La legge Biagi del 2003 ha innovato fortemente il mondo del lavoro introducendo e/o modificando numerosi contratti di lavoro: dalla somministrazione all’apprendistato, al contratto di lavoro ripartito, al contratto di lavoro intermittente, o al lavoro accessorio e al lavoro occasionale, nonché il contratto a progetto. La legge Biagi ha disciplinato le agenzie di somministrazione di lavoro abrogando l’istituto del lavoro temporaneo o interinale, ha introdotto procedure di certificazione e la Borsa continua nazionale del lavoro, ossia un luogo di incontro fra domanda e offerta di lavoro. La legge Biagi ha, di conseguenza, comportato anche significativi cambiamenti al concetto di lavoratore alla base della normativa sulla sicurezza dei luoghi di lavoro.
Antecedentemente alla legge Biagi la normativa cogente in ambito prevenzionale (d.lgs. 626 del 19 settembre 1994) identificava il concetto di lavoratore con quello del lavoratore “dipendente”, Dopo la legge Biagi il nuovo quadro legislativo di riferimento (Testo Unico d.lgs. 81 del 2008) estende significativamente il concetto di lavoratore affiancando al dipendente (lavoratore tipico) nuove e diversificate modalità relazionali (lavoratore atipico) con l’obiettivo di rendere più flessibile il mondo del lavoro stesso.
Nel d.lgs. 81 del 2008 la definizione di lavoratore si articola come: “persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell‘organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari. Al lavoratore così definito è equiparato: il socio lavoratore di cooperativa o di società; l’associato in partecipazione; il soggetto beneficiario delle iniziative di tirocini formativi e di orientamento; l’allievo degli istituti di istruzione ed universitari e il partecipante ai corsi di formazione professionale; i volontari del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e della protezione civile; il lavoratore di cui al decreto legislativo 1° dicembre 1997, n. 468, e successive modificazioni.”
Come si evince, il primo punto è quello che ha una valenza più generale: non è la tipologia contrattuale a definire il lavoratore, e nemmeno l’essere retribuito o meno (basti pensare, ad esempio, agli stagisti o alle casistiche di alternanza scuola-lavoro) quanto l’operare con la propria attività lavorativa “nell’ambito dell‘organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato”.
Più razionalmente quindi, è la dipendenza dal punto di vista organizzativo, l’esistenza di un rapporto ordinativo tra i datore di lavoro che definisce che cosa, dove, come, quando, con quali strumenti, con quali modalità, con quali procedure, con quali responsabilità e compiti, la persona deve svolgere la sua attività, che fa scattare la definizione di lavoratore e contestualmente tutto l’insieme degli obblighi di tutela verso quella persona (dalla fornitura dei DPI, all’informazione e formazione, alla sorveglianza sanitaria, ecc.).
L’articolo 2 del d.lgs. 81 richiama esplicitamente alcune figure particolari per cui potrebbero porsi dei problemi interpretativi, proprio al fine di garantire la massima chiarezza possibile.
Sono equiparati ai lavoratori ai fini della tutela in materia di sicurezza:
- i soci lavoratori di cooperativa o di società, anche di fatto, che prestano la loro attività per conto delle società e dell’ente stesso;
- gli associati in partecipazione di cui all’articolo 2549, 2e seguenti del codice civile;
- i partecipanti a iniziative di tirocini formativi e di orientamento (quindi anche stages, percorsi di alternanza studio-lavoro, ecc.);
- gli allievi degli istituti di istruzione ed universitari e i partecipanti ai corsi di formazione professionale nei quali si faccia uso di laboratori, attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici, fisici e biologici, ivi comprese le apparecchiature fornite di videoterminali (limitatamente ai periodi in cui l’allievo stesso è effettivamente applicato alle strumentazioni o ai laboratori in questione), in poche parole gli studenti che si trovano nelle condizioni sopraindicate;
- i volontari del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e della protezione civile
- infine i lavoratori di cui al decreto legislativo 1° dicembre 1997, n. 468, e successive modificazioni, ovvero gli addetti ai c.d. “lavori socialmente utili” (LSU lavoratori socialmente utili, LPU lavoratori di pubblica utilità e similari).
La giusta esigenza di introdurre flessibilità operativa al preesistente mondo lavorativo è stata prontamente recepita dalle organizzazioni pubbliche e private che hanno, da subito, aderito alle nuove modalità relazionali arrivando, in qualche caso anche a stravolgere il concetto di flessibilità stessa (come, ad esempio, il ricorso ai lavoratori “a voucher” introdotti per lavorazioni brevi e stagionali nel comparto agricolo ed esteso , impropriamente anche per periodi lunghi ed in comparti produttivi ben diversi dal mondo agricolo).
Non sempre però, nei confronti di tali tipologie di lavoratori, le organizzazioni datoriali hanno applicato esaustivamente i precetti e le misure introdotte dal Testo Unico (informazione, formazione, addestramento, dotazione DPI, sorveglianza sanitaria ect) arrivando a volte al paradosso che lavoratori maggiormente esposti al rischio rispetto ai lavoratori dipendenti (per la natura delle lavorazioni, per la mancanza di conoscenza pregressa e/o esperienza nell’attività svolta, ect) risultasssero, ingiustamente, meno tutelati dei lavoratori dipendenti stessi.”