A distanza di un anno ci troviamo nuovamente a piangere vittime per il crollo di edifici a causa di eventi sismici o di altri eventi naturali. Lo Stato è costretto ad intervenire solo quando avvengono detti fenomeni ma poco o nulla è stato fatto per prevenire i danni procurati dalle forze della natura. Per i crolli degli edifici avvenuti a Casamicciola, epicentro del sisma, sarà la magistratura a stabilire se derivano da abusivismo edilizio ma, dalle immagini divulgate dai media, si rileva che i danni maggiori li hanno subiti gli edifici più vetusti.
L’attenzione, pertanto, va riposta nel patrimonio edilizio esistente che deve essere adeguato alla normativa sismica attualmente esistente che, si ricorda, è in vigore da appena otto anni.
Ciò non significa che negli anni pregressi non ci fosse normativa in materia sismica. La legge quadro che regola la materia risale ad oltre quarant’anni fa: la n. 64 del 2 febbraio 1974, dove all’articolo 2 fa riferimento agli abitati da consolidare:
“In tutti i territori comunali o loro parti, nei quali siano intervenuti od intervengano lo Stato o la Regione per opere di consolidamento di abitato ai sensi della legge 9 luglio 1908, n. 445 e successive modificazioni ed integrazioni, nessuna opera e nessun lavoro, salvo quelli di manutenzione ordinaria e di rifinitura, possono essere eseguiti senza la preventiva autorizzazione dell’ufficio tecnico della Regione o dell’ufficio del genio civile secondo le competenze vigenti.”
Successivamente, ci sono stati i Decreti Ministeriali attuativi che, per i calcoli statici, facevano riferimento alle tensioni ammissibili e solo recentemente sono state soppiantate con gli stati limiti.
Pertanto, non è vero che tutti gli immobili sono stati realizzati male oppure con materiali scadenti (anche se va considerato il loro deperimento meccanico dovuto al lasso di tempo trascorso dalla loro realizzazione), ma sono stati costruiti applicando la normativa vigente al momento del rilascio delle autorizzazioni edilizie. Questi fabbricati sono stati eseguiti con progetti architettonici e statici, prove sui materiali, collaudi, abitabilità, accatastamenti, ecc. ed i titolari hanno corrisposto e corrispondono allo Stato le tasse attraverso gli oneri di urbanizzazione e di costruzione, diritti di segreteria,l’Irpef, l’IMU, la TASI, ecc.
Il fine della tassazione è condivisibile ma non sempre le risorse sono state destinate per i fini cui la legge si prefigge.
La problematica allora va affrontata attraverso politiche di programmazione territoriale, partendo dai piani di recupero che l’attuale normativa ci consente (per esempio la legge 457/1978). Sotto l’aspetto normativo la legge 457 è contestualmente punto di partenza, per politiche urbanistiche basate sul recupero, e punto di arrivo dello sviluppo di due concetti diversi, ovvero quello della consapevolezza del valore del patrimonio storico e quello del recupero del patrimonio corrente, nato invece da una logica di mercato.
In particolare occorre focalizzare l’attenzione sulla convenienza economica legata al minore consumo del territorio e quindi della convenienza legata al riutilizzo di zone già urbanizzate.
Nel recupero gioca un ruolo fondamentale la fattibilità dello stesso, quindi è inutile dar vita a progetti irrealizzabili, specialmente dal punto di vista economico, in quanto un progetto si può realizzare solo se suscita un interesse di ritorno finanziario ad una molteplicità di soggetti.
Con la recente costituzione del Dipartimento Casa Italia l’attuale governo si è posto il problema ed ha già disponibili 120 milioni di euro che può mettere in campo prima censendo lo stato strutturale del patrimonio edilizio esistente in zone classificate sismiche, e poi procedere a progetti mirati con la partecipazione degli Enti Locali e dei privati per iniziare l’opera di messa in sicurezza statica degli edifici.
Federarchitetti – con gli architetti ed ingegneri liberi professionisti – è pronta a dare il proprio contributo per la crescita e l’ammodernamento del Paese.