Sembra un concetto scontato, ma non è così. Infatti è stata necessaria la sentenza della Corte di Cassazione n. 27993/2020.
Il caso: in un’area
con destinazione d’uso del P.R.G. Agricola e di proprietà del Comune viene
realizzata, da parte del soggetto che in forza di una D.C. la disponibilità del
terreno, senza le dovute autorizzazioni una pista di autocross realizzando un
impianto sportivo all’aperto. Quindi opere abusive. Dalla documentazione agli
atti si è potuto vedere come i lavori, eseguiti intorno agli anni ’90, avrebbero
dovuto avere carattere provvisorio. Lavori comunque in contrasto con gli
strumenti urbanistici, che in zona agricola consentivano solo la costruzione di
edifici pertinenti con la conduzione dei fondi rustici.
Tant’è che alla fine si sono avute non solo opere abusive, ma neanche
provvisorie. Opere destinate a competizioni sportive agonistiche, recanti
fastidio reiterato ai residenti.
Non bastando ciò, il proprietario aveva apportato una serie di interventi di modifica e adeguamento. A queste ulteriori opere aveva fatto seguito un contenzioso nel quale il Pubblico Ministero aveva chiesto il sequestro dell’impianto, ma il Tribunale di primo grado aveva respinto tale richiesta.
La situazione però è stata ribaltata con il ricorso in Cassazione che ha preso atto delle dichiarazioni dei tecnici del Comune interessato, secondo i quali la pista in area agricola non era compatibile con il contesto urbano circostante. L’impianto, infatti, si trovava in un luogo troppo vicino alle abitazioni circostanti.
La Cassazione ha ritenuto illegittime le opere di
manutenzione del terreno e livellamento della pista tramite ruspe dal momento
che “le stesse ricadevano su un’opera illegittima e dunque costituivano una
ripresa dell’originaria attività illecita”.
I giudici hanno concluso spiegando che non conta la tipologia delle opere
eseguite, quindi il fatto che una manutenzione ordinaria non sia
particolarmente impattante sul territorio, ma la “qualificabilità come
prosecuzione di un’attività edilizia abusiva”.
Qualsiasi intervento effettuato su una costruzione realizzata abusivamente costituisce una ripresa dell’attività criminosa originaria che integra un nuovo reato, anche se consiste in un intervento di manutenzione ordinaria.
Inoltre, qualsiasi intervento effettuato su una costruzione realizzata abusivamente, ancorché l’abuso non sia stato represso, costituisce una ripresa dell’attività criminosa originaria, che integra un nuovo reato, anche se consista in un intervento di manutenzione ordinaria, perché tale categoria di interventi edilizi presuppone che l’edificio sul quale si interviene sia stato costruito legittimamente.
E’ utile riportare anche delle considerazioni generali sui concetti di reato e di illecito amministrativo, perché non va dimenticato che l’abuso edilizio comporta un illecito di doppia natura: una costruzione abusiva, ossia costruita senza titolo edilizio (permesso di costruire o segnalazione certificata che sia) dà luogo contemporaneamente sia ad un reato penale (abuso edilizio) che ad un illecito amministrativo.
Il reato, che riveste carattere penale, è soggetto a prescrizione.
Prima di specificare cosa sia la prescrizione e quando avviene, vogliamo precisare che L’abuso edilizio è un reato contravvenzionale punito con l’arresto o con l’ammenda. Nello specifico, la legge (Art. 44 del D.P.R.L 380/2001) dice che, a meno che il fatto costituisca un reato più grave, ferme comunque le sanzioni amministrative, per l’abuso edilizio si applica:
- l’ammenda fino a 10.329 euro per l’inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dalla legge, nonché dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal permesso di costruire;
- l’arresto fino a due anni e l’ammenda da 5.164 a 51.645 euro nei casi di esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza del permesso o di prosecuzione degli stessi nonostante l’ordine di sospensione;
- l’arresto fino a due anni e l’ammenda da 15.493 a 51.645 euro nel caso di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio. La stessa pena si applica anche nel caso di interventi edilizi nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale, in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza del permesso. La sentenza definitiva del giudice penale che accerta la lottizzazione abusiva dispone anche la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite.
Equiparata all’assenza di un titolo edilizio è l’assenza della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA): secondo la legge, le stesse pene si applicano anche agli interventi edilizi suscettibili di realizzazione mediante segnalazione certificata di inizio attività, ovvero eseguiti in assenza o in totale difformità dalla stessa.
La prescrizione è una causa di estinzione del reato che, una volta verificatasi, impedisce la produzione degli effetti penali. La prescrizione è un istituto giuridico antichissimo, noto sia al diritto penale che a quello civile. La sua ragione è molto semplice: si ritiene che, decorso un (più o meno lungo) lasso di tempo, venga meno l’interesse della giustizia a punire il presunto colpevole. Infatti, più il fatto criminoso si allontana nel tempo, minore è l’efficacia rieducativa che la sanzione dovrebbe produrre sul reo. Inoltre, la prescrizione è motivata dal diritto dell’imputato a un giusto processo in tempi ragionevoli. Ma quando si prescrive un reato?
Innanzitutto ogni reato si prescrive in un tempo pari alla pena detentiva massima prevista per esso e, comunque, mai prima dei sei anni, se si tratta di delitti, o dei quattro, se si tratta di contravvenzione. A ciò si aggiungono le eventuali interruzioni, che fanno slittare il termine un po’ più in avanti.
Nel caso di reato edilizio, l’abuso edilizio si prescrive:
- in quattro anni dal compimento dell’illecito se, da tale momento, non ci sono stati atti interruttivi della prescrizione (cosiddetta prescrizione breve);
- in cinque anni dal compimento dell’illecito (cosiddetta prescrizione ordinaria) se c’è stato un atto interruttivo come, ad esempio, il decreto di citazione a giudizio, l’interrogatorio innanzi al pubblico ministero, la decisione sulla richiesta di archiviazione, ecc. (Art. 60 c.p.).
I termini decorrono da quando viene commesso materialmente il crimine a prescindere dalla conoscenza che i terzi hanno dell’illecito.
Quali sono i soggetti attivi sui quali ricade il peso del reato?
Il titolare del permesso di costruire, il committente e il costruttore. Oltre a loro, anche tutti coloro che abbiano contribuito con la loro condotta alla consumazione del reato (muratori, proprietari); in generale, ogni soggetto che aveva potere di veto sull’esecuzione dell’opera.
Mentre invece l’illecito amministrativo, che riveste carattere civilistico, non si prescrive mai. Dal punto di vista civilistico ne consegue che il Comune potrebbe ordinare la demolizione del manufatto abusivo (si tratta, infatti della sanzione a carattere amministrativo).
In questo caso il Comune potrebbe ordinare la demolizione del manufatto abusivo. Ed è di per sé ordinariamente irrilevante – ad eccezione di casi particolari non sussistenti nel caso oggetto della sentenza – il tempo intercorrente tra la commissione di un abuso edilizio e l’emanazione del provvedimento di demolizione. Quando risulta realizzato un manufatto abusivo, nella stato di impossibilità ad essere in qualche modo “sanato”, l’amministrazione deve senza indugio emanare l’ordine di demolizione per il solo fatto di aver riscontrato opere abusive: il provvedimento deve intendersi sufficientemente motivato con l’affermazione dell’accertata abusività dell’opera.
La legge non ha mai attribuito rilievo sanante al ritardo con cui l’Amministrazione emana l’atto conseguente alla commissione dell’abuso edilizio, né si può affermare che l’inerzia o la connivenza degli organi pubblici possano comportare una sostanziale sanatoria, che la legge invece disciplina solo in casi tassativi, o con leggi straordinarie sul condono o con la normativa sull’accertamento di conformità (Consiglio di Stato Sez. VI del 17.5.2017).
Tornando quindi alla sentenza di cui siamo partiti, la unitarietà sia degli interventi che dei manufatti edilizi viene spesso ribadita in giurisprudenza.
Con la sentenza 6 febbraio 2019, n. 5820 la Corte ha fornito importanti precisazioni in merito alla responsabilità penale del proprietario dell’area, anche se non formalmente committente, per abusi edilizi che sulla medesima insistano. In questo caso, il regime dei titoli abilitativi deve essere calibrato sulla complessità e unitarietà dell’opera finale e non sulle singole componenti di essa.
Viene dunque, anche se su argomentazioni diverse, come sia imprescindibile il legame tra ulteriori opere abusive e immobile, a volte anch’esso abusivo. In questo caso era stato realizzato un fabbricato in assenza di titolo abilitativo, in area agricola e in contrasto con gli strumenti urbanistici. Anche qui opere abusive di finitura su edificio anch’esso abusivo; ciò ha comportato una analisi dettagliata e specifica di quali fossero le caratteristiche peculiari delle opere riferite ad intervento edilizio precario.
Nella prima sentenza le opere dovevano essere provvisionali e non lo sono state; nella seconda le opere dovevano essere precarie e non lo sono state.
Volendo specificare nella conclusione, l’intervento edilizio per essere considerato precario deve necessariamente possedere alcune specifiche caratteristiche:
- deve avere una “intrinseca destinazione materiale ad un uso realmente precario per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo”;
- “deve essere destinata ad una sollecita eliminazione alla cessazione dell’uso”.
In tutti e due i casi è l’opera edilizia abusiva nella sua interezza ad essere giudicata in maniera negativa e non le singole parti.