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La conformità degli edifici, la doppia conformità, addirittura la quadruplice conformità…

Ma anche le dichiarazioni e l’agibilità.

Alcuni di questi temi sono stati già trattati negli scorsi articoli. Ciò che importa non dimenticare è che tutti questi temi interagiscono tra loro e sono legati a doppio filo. Sbagliato pensarla diversamente.

Questa volta vediamo come la conformità urbanistico edilizia, dell’opera realizzata, possa incidere sulla agibilità (ex abitabilità). Ma vediamo come anche le dichiarazioni rese abbiano un posto in prima fila nel processo urbanistico edilizio che si conclude con l’agibilità.

Precedentemente, l’art. 24 del DPR 380/2001 riportava tutte le circostanze nelle quali era fatto obbligo chiedere il certificato di agibilità e l’art. 25 descriveva l’iter procedurale da seguire per l’inoltro della pratica presso la P.A. e la sanzione amministrativa in caso di mancata presentazione della domanda entro i 15 giorni canonici dalla ultimazione dei lavori. Sempre all’art. 25 al co. 1, lett. b), il richiedente del certificato di agibilità (n.b. chi ha “titolo”) doveva redigere dichiarazione sottoscritta sulla “conformità dell’opera rispetto al progetto approvato…omissis”. A tal proposito la norma nulla indicava nel caso di dichiarazione mendace da parte del richiedente il certificato. Però sappiamo cosa può accadere ora che, con l’entrata in vigore del D.Lgs 222/2016, dove la responsabilità delle dichiarazioni viene attribuita al tecnico incaricato.

Nel 2016 entra in vigore il D.Lgs. 222 e all’ art. 3 Semplificazione di regimi amministrativi in materia edilizia al comma 1, lett. i), introduce la Segnalazione Certificata di Agibilità (acronimo SCAG) che incide  sulla revisione del TUE nel 2017 con la modifica anche dell’art. 24 e con l’abrogazione dell’art. 25 sempre prima citati.

Il nuovo art. 24, comma 5, lett a), individua nel tecnico la responsabilità delle dichiarazioni compresa quella della “conformità dell’opera rispetto al progetto approvato”.

Ovviamente, ora come allora, si parla del raffronto tra il progetto presentato con la CIL, CILA, SCIA, Permesso di Costruire (spesso propedeutica alla richiesta di Agibilità), o altro titolo abilitativo, e quanto realizzato; non troviamo menzione – ora come allora – della doppia conformità dell’opera alla normativa edilizia e urbanistica vigente all’epoca della sua realizzazione.

La doppia conformità si rileva unicamente dalla dichiarazioni da sottoscrivere nella modulistica unificata per la presentazione con la CIL, CILA, SCIA:

  1. attestazione della loro conformità agli strumenti urbanistici ed al regolamento edilizio:
  2. attestazione della loro conformità alla disciplina edilizia.

Non si ritiene necessario quest’altra assunzione di responsabilità al tecnico incaricato, ma non dimentichiamo che non sempre la SCAG si presenta a seguito di un titolo abilitativo di recente emanazione, a volte la stessa è richiesta perché l’immobile ne è sprovvisto pur essendo stato regolarmente autorizzato. Quanti edifici, anche facenti parte di complessi immobiliari, conosciamo che nel progetto indicano ai piani seminterrati “cantine” e nei sottotetti “soffitte” e poi invece vengono venduti al costo/mq di residenziale, lasciando dunque la “patata bollente” della regolarizzazione all’incauto acquirente? Sempre che lo stesso vorrà regolarizzare il bene acquistato anche se tutelato dalla obbligatorietà della veridicità di quanto riportato nell’atto di compravendita. Però spesso è costretto a regolarizzare per poterlo rivendere o ottenere un prestito bancario.

Pertanto, se l’immobile o intero edificio è stato regolarmente autorizzato, si ritiene che la doppia conformità – edilizia e urbanistica – debba essere verificata rispetto al titolo abilitativo all’epoca rilasciato.

Nel 2011 la DIA viene sostituita con la SCIA con l’aggravio della responsabilità a carico del tecnico in maniera considerevole. Infatti ora è il tecnico a rilasciare dichiarazioni asseverate.

Già nella DIA accadeva che il professionista diventava esercente di “pubblica necessità” ex art. 359 del Codice Penale. La norma prevede che sono persone che esercitano un servizio di pubblica necessità:

1) i privati che esercitano professioni forensi o sanitarie, o altre professioni il cui esercizio sia per legge vietato senza una speciale abilitazione dello Stato, quando dell’opera di essi il pubblico sia per legge obbligato a valersi.

E’ senz’altro questo il caso anche di noi tecnici quali architetti, ingegneri, ecc.

Con la CILA e SCIA nulla cambia da questo punto di vista.

A tale ruolo di esercente di pubblica necessità, è stata associata la responsabilità penale dell’art. 481 del Codice Penale ovvero il reato di Falsità ideologica in certificati (Chiunque, nell’esercizio di una professione sanitaria o forense, o di un altro servizio di pubblica necessità attesta falsamente, in un certificato, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 51 a euro 516. Tali pene si applicano congiuntamente se il fatto è commesso a scopo di lucro). Ma di fatto  un’attività professionale viene eseguita a scopo di lucro.

Recita l’art. 29 (L) del rinnovato TUE al co. 3: “omissis…in caso di dichiarazioni non veritiere nella relazione di cui all’art. 23 co. 1 (“Che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie”), l’amministrazione ne dà comunicazione al competente ordine professionale per l’irrogazione delle sanzioni disciplinari”.

Giova anche ricordare come il reato di falsità abbia un duplice aspetto: a differenza di quanto previsto dal delitto di falsità materiale, che punisce la falsa formazione di un atto o l’alterazione di un atto vero, il delitto in esame punisce la falsità ideologica, ovvero la falsa attestazione, da parte del pubblico ufficiale, dei fatti avvenuti in sua presenza, delle dichiarazioni raccolte o dei dì fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità.

Così, più in generale, si ha falsità materiale quando sussiste una divergenza tra autore apparente ed autore materiale del documento o quando il documento sia stato alterato dopo la sua formazione, mentre si ha l’opposta figura del falso ideologico quando nell’atto sono contenute attestazioni o dichiarazioni non vere o non accadute nella realtà fenomenica.

Il nostro caso si configura nel secondo aspetto: falsità ideologica.

Come prima anticipato, con l’asseverazione si aggrava la nostra posizione: infatti ad essa è associata ipotesi di reato ben più grave rispetto all’art. 481 c.p., infatti la falsa attestazione all’interno della CILA o SCIA è riconducibile all’art. 19 L. 241/1990 e statuisce che “Ove il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni che corredano la segnalazione di inizio attività, dichiara o attesta falsamente l’esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al comma 1 è punito con la reclusione da uno a tre anni”.

Vi sono poi casi di dichiarazioni di doppia conformità urbanistico edilizia che vanno resi per edifici ricadenti  in zona sottoposta a vincoli paesaggistici, ambientali o architettonici per cui il pericolo e che si possa ricadere nell’art. 167 D.Lgs. 42/2004, il quale preclude il rilascio di autorizzazioni in sanatoria, quando siano stati realizzati volumi di qualsiasi natura oppure quando ai fini urbanistici ed edilizi non andrebbero ravvisati volumi in senso tecnico.

Pertanto, l’innovazione introdotta dalle recenti disposizioni normative, è il passaggio delle responsabilità di controllo da parte della P.A. al professionista esterno alla stessa, che è legittimato ad agire in via autonoma.

La dichiarazione asseverata del tecnico assume valore sostitutivo del provvedimento amministrativo e quindi “certificativo” (Cass. Pen. III n. 35795/2012). Di contro era atto dovuto della P.A.

Analizzando la tempistica: quanti di noi si sono trovati a dover attendere ben oltre il tempo massimo consentito alla P.A. (40 gg con il TUE 380/2001 prima delle modifiche subite con il D.Lgs 222/2016)?

Dunque ben venga il passaggio di mano per ciò che riguarda la Agibilità dalla P.A. al tecnico competente. Le opportune conoscenze culturali, le cautele e la professionalità andranno certamente a concludere un iter – spesso indispensabile e improcrastinabile – laddove l’inerzia della P.A. regna sovrana indiscussa.
Assumiamoci le nostre responsabilità dopo aver verificato la regolarità urbanistico edilizia, reso le nostre brave dichiarazioni asseverate, coscienti di quanto andiamo a rischiare in caso di dichiarazioni mendaci.

Vale concludere quanto segue: Il certificato di agibilità che si riferisce all’intera superficie dell’unità immobiliare non può servire a qualificare come volume uno spazio che tale non era, sulla base degli strumenti urbanistici vigenti e che, di conseguenza, non era stato autorizzato come tale.

(Fonti: Studio tecnico C. Pagliai; Brocardi.it; EXEO edizioni)

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