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L’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro ha chiarito con la nota del 15/05/2020 che non esiste nessun automatismo fra incidente sul lavoro causato dal contagio da Covid 19 e responsabilità penale e civile dell’imprenditore. Come avevamo sostenuto nel nostro precedente contributo “Modello 231 e responsabilità penale in materia di sicurezza sul lavoro: tutelare per tutelarsi in emergenza”, anche per l’Inail “i criteri applicati per l’erogazione delle prestazioni assicurative ai lavoratori che hanno contratto il virus sono totalmente diversi da quelli previsti in sede penale e civile, dove è sempre necessario dimostrare il dolo o la colpa per il mancato rispetto delle norme a tutela della salute e della sicurezza”. Con questa precisa presa di posizione, l’Inail ha cercato di chiarire il diverbio fra Confindustria da un lato – che insistentemente chiedeva il riconoscimento dello scudo penale per gli imprenditori scrupolosamente diligenti nell’adottare tutte le misure di sicurezza ed i protocolli imposti per scongiurare il rischio del contagio – e i Sindacati dei lavoratori dall’altro, preoccupati invece che la richiesta da parte degli Industriali si traducesse in un ampliamento degli ambiti di operatività su condizioni e organizzazioni del lavoro, senza di contro offrire sufficienti garanzie in termini di prevenzione e di “copertura economica” nel caso di contagio sui luoghi di lavoro. A scatenare questa diatriba fra Confindustria e Sindacati hanno probabilmente contribuito l’art. 42 co. 2 del D.L. n. 18/20 c.d. decreto “Cura Italia” e la circolare Inail n. 13 del 3 aprile 2020, pubblicata in fase emergenziale, in base ai quali “Nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS- CoV-2) in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’INAIL che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell’infortunato”, trattando pertanto il contagio da Covid 19 come un infortunio lavorativo, al pari delle altre malattie infettive contratte sui luoghi di lavoro. Entrambe le Parti Sociali continuano a richiedere a gran voce una norma specifica, che tuteli con maggiore certezza il lavoratore contagiato da un lato e che escluda dall’altro lato l’automatico riconoscimento della responsabilità penale del datore di lavoro diligente in termini di adozione sul luogo di lavoro di protocolli e misure di precauzione dettate dal Governo. La norma richiesta potrebbe arrivare o con un emendamento, in sede di conversione, al DL “Liquidità” o all’imminente DL “Rilancio”. Oppure ancora nel prossimo dl “Sblocca Italia” annunciato dal Governo entro giugno. Intanto si attende nelle prossime ore una nuova circolare INPS che chiarisca ulteriormente la propria posizione in attesa di una disposizione normativa ad hoc. Tralasciando gli aspetti civilistici, di cui si è detto nel precedente contributo “Il contagio sul luogo di lavoro dal punto di vista Inail” sotto il profilo penale, l’orientamento finora dichiarato ma che si attende venga tradotto in norma di legge, prevede che la responsabilità del datore di lavoro dovrà essere rigorosamente accertata, attraverso la prova del dolo o della colpa dell’imprenditore, con criteri totalmente diversi da quelli previsti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative Inail.

In altre parole, il riconoscimento dell’infortunio da parte dell’Istituto non assumerebbe rilievo e non sarebbe un presupposto per sostenere l’accusa in sede penale, considerata la vigenza in tale ambito del principio di presunzione di innocenza nonché dell’onere della prova a carico del pubblico ministero. Ciò vuol dire che se la pubblica accusa non riuscirà a dimostrare, sulla base di prove certe, l’intenzione dolosa o colposa (intesa come negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero l’inosservanza di disposizioni normative) a carico del datore di lavoro, tale da potersi direttamente collegare da un nesso di causalità all’evento contagio, non sarà possibile ipotizzare una sua responsabilità penale per i reati di lesioni o, nei casi più gravi, di omicidio. L’accertamento della responsabilità del datore di lavoro, per l’ipotesi in cui la contrazione del virus da parte del lavoratore in occasione del rapporto di lavoro abbia comportato, come conseguenza, la lesione o la morte del lavoratore stesso, potrebbe, però, presentare significative ricadute anche in termini di responsabilità amministrativa degli enti ex D.lgs. n. 231/2001. Si tratta di un’ipotesi – la configurabilità della responsabilità amministrativa dell’ente – non automatica rispetto alla responsabilità personale del datore di lavoro, ma ad essa strettamente connessa, costituendone una, assai probabile, conseguenza. Ed invero, ai fini della configurabilità della responsabilità dell’ente, la legge richiede non solo la commissione del c.d. “reato presupposto” (secondo le condizioni sopra descritte) ma anche che detto reato sia stato commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente: tale circostanza potrebbe concretarsi in ipotesi molto meno astratte di quanto ci si potrebbe immaginare: ad esempio, il vantaggio dell’ente potrebbe consistere nel risparmio dei costi perseguito dal datore di lavoro mediante la mancata attuazione delle misure di prevenzione idonee a contrastare la diffusione del virus, come l’adozione dei Dispositivi di Protezione Individuali (mascherine, guanti, etc.), la regolare sanificazione dei locali, e, in generale, le precauzioni prescritte nel Protocollo di sicurezza del 14 marzo 2020, come integrato il 24 aprile 2020 ed inserito come allegato 6 nel DPCM 26 aprile 2020, firmato da sindacati e imprese, in accordo con il Governo, con il fine precipuo di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori dal possibile contagio da coronavirus e di garantire la salubrità dell’ambiente di lavoro. Le conseguenze sanzionatorie, che possono derivare all’azienda per la mancata attuazione di dette misure di sicurezza e a seguito dell’accertamento della responsabilità del datore di lavoro, sono a dir poco rilevanti. Le legge, infatti, prevede l’applicazione di una sanzione pecuniaria compresa tra le 250 e 1.000 quote (ove l’oscillazione del valore della quota, convertita in euro, è decisa dal giudice sulla base delle circostanze caratterizzanti l’illecito) e di una sanzione interdittiva – consistente in una delle seguenti sanzioni:

  1. a) interdizione dall’esercizio dell’attività;
  2. b) sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito; c) divieto di contrattare con la pubblica amministrazione;
  3. d) esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;
  4. e) divieto di pubblicizzare beni o servizi – da 3 mesi a 1 anno.

Dette sanzioni, direttamente conseguenti alla commissione del reato, possono determinare, poi, non meno preoccupanti conseguenze per l’azienda in termini operativi ed economici, oltre che una compromissione dell’immagine e della reputazione della società, anche in termini di affidabilità. L’applicazione delle sopraindicate sanzioni è, tuttavia, esclusa qualora l’ente: 1) si sia dotato, prima della commissione dell’illecito, di un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire la commissione del reato e 2) dimostri di aver efficacemente dato applicazione a detto modello, mediante la concreta attuazione di misure idonee a prevenire l’illecito. La severità delle sanzioni applicabili e la previsione di una esimente alla responsabilità amministrativa dell’ente suggeriscono di potenziare e migliorare le misure di compliance aziendale, nelle quali si inserisce, appunto, l’adozione di modelli di organizzazione, gestione e controllo. Ciò al fine di prevenire, o quanto meno di ridurre, il rischio di una responsabilità dell’ente, foriera di rilevanti e, talvolta, drastiche, ripercussioni sulle aziende, già provate dall’attuale drammatico momento storico.

Fonte: Studio Legale Nunziante – Magrone

Per visionare la nota dell’INAIL: https://www.inail.it/cs/internet/comunicazione/news-ed-eventi/news/news-responsabilita-datore-lavoro-infortunio-covid-19.html&tipo=news  

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