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La questione è nota e sollevò unanime levata di scudi da tutti gli organi professionali dei tecnici, Federarchitetti compreso.
Si tratta della norma introdotta dalla Legge 132/2015 che, per il calcolo delle parcelle per i CTU, lega il compenso non più al valore di stima bensì al valore di vendita del bene pignorato, vietando di liquidare ai professionisti acconti superiori al 50% del compenso calcolato sul valore di stima.
Sugli effetti di questa norma il Giudice Giulio Borella del Tribunale di Vicenza chiede l’intervento della Corte a pronunciarsi in merito a nove dubbi di incostituzionalità rispetto a vari articoli della Costituzione (art. 3, 36, 41, 97, 117)
Con un esame molto articolato, il Giudice inizia al primo punto evidenziando che “non si spiega per quale ragione la liquidazione del bene debba avvenire sulla scorta del valore di vendita finale, quando viene chiesto di effettuare la stima del valore di mercato”, “anche perché i due valori e i metodi per il calcoli sono ben distinti nella dottina dell’estimo”.
Al secondo punto, prosegue, la norma appare irrazionale perché “prende come valore di riferimento un’entità (il valore di vendita) che non pare pronosticabile a priori e dipende da fattori imponderabili da parte dell’esperto”.
Al terzo punto, evidenzia la irragionevolezza della norma “perché figlia di un infondato, quanto diffuso pregiudizio nei confronti della categoria degli esperti estimatori, tacciati di effettuare stime troppo alte, al fine di lucrare compensi più elevati”.
Inoltre, al quarto punto, solleva l’irragionevolezza di “sostenere che la norma sarebbe neutra rispetto all’entità del compenso dell’esperto”.
Ed ancora, al quinto punto, viola il principio di uguaglianza in quanto la stima dei beni non è attività esclusiva del processo esecutivo ma anche di altri ambiti giudiziali, per esempio la divisione ereditaria, nei quali il compenso dell’estimatore sarebbe valutato con altri parametri.
“La norma è irragionevole”, prosegue alla sesta motivazione, “in quanto non specifica come dovrebbe avvenire la liquidazione in caso di estinzione del processo”.
E, alla settima ragione, poiché “appare equivalente al non compensare adeguatamente il professionista rinviare sine die la liquidazione del compenso, in attesa di un evento futuro e incerto quale la vendita dell’immobile pignorato, che potrebbe avvenire dopo diversi anni o addirittura non avvenire mai”.
All’ottavo punto, “appare in contrasto altresì con l’art. 41 e 117 della Costituzione in quanto pare limitare irragionevolmente la libertà di iniziativa economica, e ciò sia nella parte in cui parametra il compenso al valore di vendita, sia nella parte in cui ne rinvia la liquidazione alla vendita del bene, consentendo prima di tale momento solamente la liquidazione di acconti, non superiori al 50%”.
Infine, al nono punto, “in quanto, frustrando le aspettative al compenso degli esperti, finisce con il far lavorare gli stessi sottocosto e, quindi, con l’allontanare dal circuito le professionalità migliori, con grave danno per la funzionalità e l’efficienza dell’amministrazione della giustizia”.

Ora la parola alla Corte Costituzionale ma, da Federarchitetti, un plauso per l’alta professionalità con cui il Giudice Giulio Borella del Tribunale di Vicenza ha affrontato e approfondito tutte le notevoli perplessità che la norma aveva sollevato, tra addetti e non, fino alle estreme accuse di sudditanza legislativa nei confronti degli interessi economici del sistema bancario.

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