Il progetto è una visione lucida delle cose, è l’anticipazione coraggiosa del futuro. Non si costruisce il futuro basandosi sui conti fatti sulla carta del macellaio, ma al massimo si amministra una bottega.
E’ quanto è avvenuto con il SUPERBONUS. Uno strumento di “rilancio” dell’economia basata sull’edilizia, dopo la gravissima stasi della pandemia, che ha costituito un bazooka economico e ha prodotto fino al gennaio 2023 un fatturato di 65 miliardi di euro (con una quota che non raggiunge neanche l’1% di frodi accertate).
Si tratta di cantieri che non si sarebbero mai avviati, se non ci fosse stato il Superbonus, e che quindi in prima istanza hanno prodotto un incremento del Bilancio dello Stato: le sole entrate tributarie dirette si stimano pari al 30% della spesa, e pertanto pari a circa 22 miliardi di aumento del gettito.
Attenzione: si tratta di Superbonus, che si vuole confondere con tutti gli altri bonus edilizi (per un fatturato ad oggi di 50 miliardi) che per la mancanza di verifica da parte di un libero professionista hanno prodotto risultati nefasti. Bisogna distinguere tra ciò che produce effetti per evitare di buttare il bambino con l’acqua sporca.
Secondo uno studio di novembre scorso di Censis con Harley&Dikkinson (ma lo stesso hanno riportato Cresme, Nomisma, Rete Professioni Tecniche, Centro Studi Consiglio Nazionale Ingegneri, Fondazione Nazionale Commercialisti, Ance, ma anche Luiss Business School e OpenEconomics proprio a sostegno del Decreto Rilancio) ogni euro di spesa ne attiva più di due nella filiera delle costruzioni, tra effetti diretti e indiretti, e che il gettito fiscale corrispondente “possa ripagare circa il 70% della spesa a carico dello Stato”.
Secondo gli autorevoli studi significa che di 65 miliardi di spesa per lo Stato il vero “impegno” ammonta a 19,5 miliardi. Si tratta infatti di IRPEF, contributi INPS, emersione del “nero”, contrazione della cassa integrazione, impatto occupazionale stimato di circa 900.000 unità lavorative, risparmio di miliardi di metri cubi di gas, ecc.
Ebbene lo spaventoso buco finanziario, secondo quanto ci dicono il Governo e la Ragioneria dello Stato, ammonterebbe in realtà ad un impegno di 5 miliardi l’anno: se infatti si aggiunge alla vera spesa dello Stato di 19,5 miliardi il 10% dei 65 miliardi (dovuto alla relazione 110% di detrazione su 100% della spesa), si ottiene un investimento complessivo di 26 miliardi, che corrisponde ad un “impegno” di 5 miliardi l’anno ripartiti in 5 anni. Sembra un investimento sopportabile, su un bilancio annuale previsto di circa 600 miliardi di entrate tributarie (circa 500 miliardi prima della pandemia).
Sempreché non si abbia intenzione di scialacquare quanto finora incassato in extra-gettito (i circa 22 miliardi stimati) per “fare politica”, anziché farli fruttare per costituire tamponamento dei possibili sforamenti di spesa nei 5 anni.
La Ragioneria dello Stato, che ha a suo tempo avallato la proposta finanziaria contenuta nel Decreto Rilancio, registra entrate e uscite, fa consuntivi, ma non governa il futuro, non fa scelte di politica economica, a meno che non indirizzi – evidentemente – sbiadite visioni politiche ed economiche.
Se così si ragionasse, si manderebbero in soffitta tutte le politiche sociali, culturali e di istruzione, che comportano molte spese e nessun guadagno (in termini economici). Se così si ragionasse, anche il buon padre di famiglia che un tempo fu – con gli occhiali inforcati sulla quadratura dei conti tra pigione di casa e vestiti per i bambini – non avrebbe mai avuto il coraggio di investire sul debito (debito sopportabile) per lo studio dei propri figli.
Non si costruisce il futuro con i conti della serva, e l’Italia è un paese che è diventato grande per il coraggio dei cittadini, per i progetti di investimento a lungo periodo, per i piani politici lungimiranti. Oggi manca una visione (a meno che non sia quella di fare cassa subito con quanto quest’anno sia rientrato di extra-gettito), ma soprattutto manca il coraggio.
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