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Le scorse settimane abbiamo iniziato a pubblicare il documento che Confedertecnica ha inviato alle altre parti sociali di analisi e studio per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro dei dipendenti  degli studi professionali, elaborato dalla stessa con il contributo del Dipartimento di Diritto, Economia, Management e Metodi quantitativi (DEMM) dell’Università del Sannio. In particolare ci siamo soffermati sulle proposte di adeguamento delle tipologie contrattuali finalizzati alla flessibilizzazione dell’impiego della forza lavoro e alla flessibilità dei tempi e dei luoghi di svolgimento del lavoro subordinato all’interno degli studi professionali.

Questa settimana proseguiamo la pubblicazione delle proposte contenute nel documento sugli Strumenti contrattuali alternativi al tradizionale rapporto di lavoro subordinato: contratto ibrido e parasubordinazione.

“Come evidenziato in premessa, una caratteristica peculiare del mondo delle professioni tecniche consiste nell’operare in esso di una molteplicità di figure che hanno più contatti con la realtà del lavoro autonomo, piuttosto che con quella del lavoro subordinato. Una lettura dei suddetti rapporti lavorativi stretta in una rigida dicotomia autonomia/subordinazione finisce, tuttavia, per ignorare l’estrema varietà delle concrete modalità lavorative in cui si atteggia la prestazione intellettuale nell’area tecnica, così non fornendo, da un lato, agli studi professionali la possibilità di instaurare i rapporti lavorativi più confacenti alle proprie esigenze, e dall’altro, ingabbiando i lavoratori in schemi contrattuali non perfettamente aderenti alle loro ambizioni professionali né all’effettivo dipanarsi del rapporto lavorativo. 

Partendo, dunque, dalla necessità della predisposizione di ulteriori modelli contrattuali, la negoziazione collettiva potrebbe riguardare più approfonditamente altre figure contrattuali, cercando di riflettere sulla loro convenienza rispetto alle esigenze del mondo delle professioni. 

Per orientare la suddetta riflessione, occorre, innanzitutto, segnalare che il legislatore ha posto fuori dall’ambito applicativo dell’art. 2, d.lgs. n. 81/2015 – che equipara le collaborazioni coordinate ope legis (a far data dal 1° gennaio 2016) alla fattispecie standard del lavoro subordinato (art. 2094 c.c.) – le collaborazioni: a) realizzate sulla base di accordi collettivi in ragione di particolari esigenze produttive o organizzative di uno specifico settore; b) prestate da professionisti intellettuali iscritti ad albi. 

È possibile, in realtà, cogliere positivamente una tale esclusione come un segnale che rende ancor più necessario interrogarsi sulla più adeguata collocazione del professionista dell’area tecnica al di fuori del tradizionale schema della subordinazione.

In quest’ambito vi è uno spazio lasciato vuoto dalla CCNL del 2015, che occorrerebbe colmare quanto prima. Si delineano, dunque, le seguenti aree di intervento della contrattazione collettiva.

È uno schema contrattuale complesso, risultato della parallela coesistenza tra le stesse parti di un contratto part-time a tempo indeterminato e di un contratto di lavoro autonomo fuori sede. 

Esso è stato per la prima volta sperimentato nel sistema bancario. 

Per quanto trattasi di uno schema contrattuale a disposizione dei contraenti in virtù del fisiologico svolgimento dell’autonomia privata, si osserva che una codificazione collettiva relativa a questo strumento, anche a livello aziendale, meriterebbe di essere considerata come una strada interessante in grado di garantire un valore aggiunto, derivante dalla capacità di:

Un simile schema contrattuale permetterebbe di modulare il costo del lavoro e contemperare l’esigenza di stabilità del professionista, soprattutto dal punto di vista economico, con il lato dinamico di maggiore libertà organizzativa che caratterizza l’attività lavorativa svolta in forma autonoma.  

La suddetta opera di perimetrazione definitoria dei confini tra l’autonomia e la subordinazione potrebbe avere anche un indiretto effetto positivo in ordine alla differenza con le ipotesi di parasubordinazione, ancora molto frequenti, nel presente e probabilmente anche nel futuro, nella realtà degli studi

professionali. Non si tratta di un mero vezzo definitorio, ma di un’operazione di riflessione necessaria per le ricadute in punto di disciplina derivanti dall’utilizzo dell’una o dell’altra fattispecie. 

A tal riguardo, si segnala che l’art. 15 della l. 81/2017 ha modificato l’art. 409 c.p.c., statuendo che “la collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa”. 

Alla luce dell’evidente difficoltà di cogliere un significato assoluto alla suddetta definizione normativa, potrebbe, dunque, essere utile ragionare su cosa significhi nella specifica realtà degli studi professionali “modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti”. 

Le suddette forme di collaborazione sarebbero, infatti, escluse dal perimetro della cd. etero-organizzazione in quanto rientranti nella lett. a) dell’art. 2, d.lgs. 81/2015 (“realizzate sulla base di accordi collettivi in ragione di particolari esigenze produttive o organizzative di uno specifico settore”); la stessa disposizione sembra, dunque, riconoscere la possibilità di una loro regolamentazione in base ad accordi collettivi come forme di un rapporto contrattuale che si concretizza, in realtà, in una falsa autonomia. Tale specificazione serve anche a porre al riparo la contrattazione collettiva che investe tali forme di collaborazione da una censura di regolamentazione in contrasto con la normativa europea di protezione della concorrenza.”

EBIPRO