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Rigenerazione urbana: da quando si è iniziato a parlarne?

Una definizione condivisa del termine Rigenerazione Urbana, purtroppo ancora oggi non esiste. Antesignana la legge Regionale Puglia 29 luglio 2008, n. 21 che cita testualmente: “La Regione Puglia con la presente legge promuove la rigenerazione di parti di città e sistemi urbani in coerenza con strategie comunali e intercomunali finalizzate al miglioramento delle condizioni urbanistiche, abitative, socio-economiche, ambientali e culturali degli insediamenti umani e mediante strumenti di intervento elaborati con il coinvolgimento degli abitanti e di soggetti pubblici e privati interessati“.

Importante la precisazione – che di seguito riprenderemo – su “il coinvolgimento degli abitanti e di soggetti pubblici e privati interessati”.

Già è chiaro come il processo rigenerativo non sia la finalità da raggiungere, bensì il mezzo per raggiungere l’obiettivo: il benessere fisico, sociale, ambientale.

Prima di analizzare il testo del disegno di legge in corso di approvazione, facciamo chiarezza sul concetto di Rigenerazione Urbana e sul perché ci si dovrebbe investire sia come modello di sviluppo locale  che come utilizzo di risorse economiche.

Rigenerare – lo dice il termine stesso – significa, in ambito urbano, approcciarsi all’evoluzione di un tessuto edificato e non, attraverso una serie di continue ristrutturazioni, demolizioni, ricostruzioni e rifunzionalizzazioni delle sue parti che tengano conto delle esigenze specifiche del contesto urbano.

L’obiettivo di questo percorso è il Recupero di spazi e luoghi abbandonati, a dire il vero parecchi nelle nostre Città. Propedeutico è il monitoraggio a tappeto di tutte queste situazioni, suddividendole per tipologie (spazi aperti o chiusi); successivamente la suddivisione potrebbe essere quella tra Privato e Pubblico; poi ancora, nel caso di edifici, la destinazione d’uso originaria, quella che potrebbe avere a intervento compiuto e la loro importanza storica, se presente. Come risultato si otterrà una mappatura capillare dell’area urbana interessata dall’intervento finora mai eseguita.

Il fine è il Miglioramento della nostra qualità della vita, del nostro habitat sia lavorativo, sia abitativo che di tempo libero.

Il Mezzo è – appunto – la Rigenerazione Urbana.

Volendo affrontare in maniera più tecnica il percorso intrapreso finora per riqualificare parti di città potremmo individuare tre fasi:

  1. La prima ha visto la riqualificazione dei centri storici (ancora in gran parte incompiuta), ed ha avuto inizio durante gli anni ’70 quando c’è stata una sorta di presa di coscienza del valore del tessuto edilizio storico nonché di una voglia di riaffermare la propria identità locale.
  2. La seconda ha compreso il recupero delle aree dismesse (un processo ancora in corso in molti centri). Tutto iniziò sul finire degli anni ’80, nel momento in cui si attivò la delocalizzazione delle industrie e di molti altri servizi fino ad allora collocati in prossimità o all’interno dei centri urbani, come i mercati ortofrutticoli, i macelli, i poli ferroviari, etc. Altro fattore scatenante il processo di recupero furono le aree demaniali che con la loro estensione  cominciarono a costituire una problematica divenendo dei “vuoti urbani” da riempire.
  3. La terza fase, quella attuale, prevede, in linea di massima, la riqualificazione dei quartieri residenziali costruiti nella seconda metà del ’900. Rigenerare quartieri residenziali purtroppo costruiti con criteri di bassa qualità edilizia, architettonica e urbanistica e dare attuazione a politiche di mobilità sostenibile e quant’altro possa servire come attrattore per ripopolare tali aree.

Quale deve essere la metodologia di approccio?

Partire dalla scala più piccola per salire a quella più grande: subordinare gli obiettivi da raggiungere con l’intervento prescelto alla verifica delle conseguenze degli stessi rispetto alle scelte urbanistiche effettuate per le altre aree della città. Cominciare a ragionare non più con un’ottica a comparti edilizi bensì con una visione più ampia degli effetti (positivi e negativi) che un qualsiasi intervento possa avere sul territorio in cui ricade. Ciò è possibile preferendo agli strumenti attuativi tradizionali i programmi complessi, poiché affrontano e intendono risolvere i nuovi problemi della città contemporanea, caratterizzata da una pluralità di funzioni. Questo passaggio richiede alte specializzazioni.

I programmi attualmente in uso sono rappresentati dai P.R.U.S.S.T. (Programmi di Recupero Urbano e Sviluppo Sostenibile del Territorio) che sono, come cita la normativa che li descrive, “Programmi di riqualificazione urbana e di sviluppo sostenibile del territorio promossi dal Ministero dei lavori pubblici con l’obiettivo di realizzare, all’interno di quadri programmatici organici, interventi orientati all’ampliamento e alla riqualificazione delle infrastrutture, all’ampliamento e alla riqualificazione del tessuto economico-produttivo-occupazionale, al recupero e alla riqualificazione dell’ambiente, dei tessuti urbani e sociali degli ambiti territoriali interessati.”

L’abbandono dei P.R.U. (Programmi di riqualificazione urbana) è stato un passo obbligato.

Ma è un passo obbligato anche operare scelte politiche coraggiose,  coinvolgere gli stakeholder dei singoli settori economici e individuare le figure professionali capaci di progettare e realizzare la  riqualificazione.

Ecco che si arriva, quindi, al DDL prima menzionato.

Infatti è iniziato in questi giorni e precisamente dal 21 ottobre, in videoconferenza Commissione Ambiente del Senato, un ciclo di audizioni informali sul testo che prevede, tra le varie misure, l’istituzione di un Fondo da 500 milioni di euro annui e il ricorso ai concorsi di progettazione e di idee.

Tra gli obiettivi del DDL spiccano il riuso delle aree già urbanizzate, il contenimento del consumo di suolo e la riduzione dei consumi energetici, allo scopo di giungere all’adozione del Piano nazionale per la rigenerazione urbana.

Alcune Regioni hanno già provveduto all’utilizzo della Rigenerazione Urbana come metodologia: Puglia (Legge Regionale n. 21/2008, Norme per la rigenerazione urbana), Lombardia (Legge Regionale 28 novembre 2014, n. 31), Umbria (Legge regionale 21 gennaio 2015, n. 1) ed Emilia-Romagna (Legge regionale in fase di attuazione in seguito ad una serie di positivi riscontri in ambito di progettazione partecipata ed attuazione di programmi integrati di intervento), Toscana (Legge Regionale 65/2014).

Il processo non è semplicissimo. Per affrontare correttamente un intervento di rigenerazione urbana è importante consultarsi non solo con le esigenze degli enti locali ma anche con i cittadini, le associazioni di categoria, e di tutti i soggetti che possono esse coinvolti per vari motivi. Fatto ciò, valutati i bisogni, gli obiettivi da raggiungere, le potenzialità endogene del  luogo e la capacità di resilienza dell’ambito in cui operare si passa a individuare gli strumenti urbanistico/edilizi, di programmazione economica e sociale, necessari per procedere alla fase esecutiva di progettazione ed esecuzione degli interventi ivi previsti.

Va segnalato che l’ISPRA ha messo a disposizione sul proprio portale un vademecum dei principali strumenti di sostenibilità di cui possono servirsi gli enti locali.

Nata da una convenzione tra ISPRA (ex APAT) e Associazione Nazionale Coordinamento Agende 21 Locali Italiane, questa sorta di vademecum serve affinché siano rese efficaci, incisive e soprattutto partecipate le politiche ambientali attuate dalle Amministrazioni con strumenti da adottare a livello locale che possano integrare positivamente su quelli di programmazione e di controllo obbligatori. Inoltre il vademecum serve a valutare gli esiti e gli effetti in riferimento ai diversi contesti e alle specificità territoriali.

Quindi, abbiamo visto, che la Rigenerazione Urbana non è uno strumento ma un metodo operativo; non è costituita da regole preconfezionate ma da approcci e analisi dedicati,; non è una soluzione immediata ma occorrerà tempo per apprezzarne i risultati e gli obiettivi prefissati; non deroga dalla normativa vigente ma se ne avvale in maniera intelligente per raggiungere degli obiettivi e fornire delle risposte.

Determinante è la costituzione di un partenariato pubblico – privato che stabilisca le linee programmatiche e gli obiettivi da seguire e che vada a verificare la progettazione e l’esecuzione una volta ottenuti i fondi messi a disposizione dal DDL.

Va risolta la problematica degli interventi nelle aree del centro storico e superare la norma contenuta nell’ultimo decreto semplificazioni nella quale prevede di ricostruire l’edilizia esistente così com’è.

Intervenire sul preesistente è operazione delicata ma spesso si preferisce non intervenire demandando ai posteri qualunque tipo di decisione per la paura di fare scelte criticabili.

La trasformazione degli spazi inutilizzati in luoghi di socialità è compito affidato alla Rigenerazione Urbana.

Il momento storico ci costringe e rivedere, per ora, il concetto di socialità. Ma questo non significa  a progettarla e viverla in modo diversa.

Si evidenzia che in Italia ci sono ben sei milioni e mezzo di edifici abbandonati o spesso mal utilizzati e diventati luoghi di emarginazione che occorre rivitalizzarli attraverso attività artigianali, di botteghe commerciali, di alta specializzazione, ecc.

Il DDL prevede che le risorse del Fondo saranno destinate ogni anno:
– al rimborso delle spese di progetta­zione degli interventi previsti nei Piani comunali di rigenerazione urbana selezionati;
– al finanziamento delle spese per la redazione di studi di fattibilità urbanistica ed economico-finanziaria di interventi di rige­nerazione urbana;
– al finanziamento delle opere e dei servizi pubblici o di interesse pubblico e delle iniziative previste dai progetti e dai programmi di rigenerazione urbana selezio­nati;
– al finanziamento delle spese per la demolizione delle opere incongrue;
– alla ristrutturazione del patrimonio immobiliare pubblico, da destinare alle fina­lità previste dai Piani comunali di rigenera­zione urbana approvati.

Alle Regioni è demandato il compito di individuare tra le volumetrie quelle da recuperare, quelle da aggiungere, quelle per le quali provvedere al cambio di destinazione d’uso, ecc.

Ai Comuni il compito di provvedere al Piano comunale di Rigenerazione Urbana.

Verranno consentite deroghe al D.M. 1444/1968: altezze, distanze, dotazione obbligatoria degli standard destinati a parcheggi.

Che ci sia necessità impellente di provvedere a risanamento e modifica di tante situazioni lo si evince dalla lettura del DDL n. 1131 dell’11.03.2019, là dove indica come “città deliranti” quelle città dove “All’interno delle quali si assiste da un lato alla loro continua espansione senza limiti di consumo del suolo (cosiddetto greenfield) e dall’altro all’aumento delle aree urbane dismesse (cosiddetto brownfield) all’interno delle città stesse, le quali versano in totale stato di abbandono e degrado sia nei centri storici, che nei centri urbani, che nelle periferie”.

E ancora: Lo stesso termine periferia ha perso il suo originario significato topografico di area urbana posta al limite esterno della parte centrale della città ed ha assunto sempre più una connotazione di tipo socio economica, per cui oggi quando si parla di periferia si pensa molto più genericamente ad un’area, anche centrale, soggetta però a degrado ed abbandono. È evidente che le conseguenze di tale modello sono gravi tanto a livello ambientale, quanto a livello economico, sociale e culturale. A città che si sono via via «allargate nel territorio» corrispondono infatti «comunità spaesate e impaurite». La perdita dei luoghi che caratterizzano la vita delle comunità infatti ha un impatto negativo diretto sulle comunità stesse. È sotto gli occhi di tutti che il fenomeno dello spopolamento delle città e della desertificazione commerciale anche nelle aree centrali riguarda ormai in modo consistente anche il nostro Paese”.

Segnali piccoli, se pur importanti, ma con ancora molto da fare.

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