Nella splendida sala del Vasari del Complesso Monumentale di S. Anna dei Lombardi in Napoli si è svolto il seminario “Urbanistica e sostenibilità del Paesaggio” voluto dalla Federarchitetti, con l’organizzazione affidata alla Sezione di Napoli e al Presidente Federarchiotetti Regione Campania, arch. Biagio Fusco il quale è stato anche il moderatore della mattinata. Al dibattito hanno partecipato l’arch. Nazzareno Iarrusso, Presidente Federarchitetti, l’arch. Marco Ciannella, Presidente di Confedertecnica Campania, dott. Carmine Nardone, Presidente di Futuridea, la prof.ssa Rossella del Prete, Presidente Kinetès – Arte, Cultura, Ricerca, Impresa, SRL – spin off Unisannio e il dott. Guglielmo Emanuele, Presidente SINGEOP.
Di seguito si riporta l’intervento del Presidente Federarchitetti.
“Le trasformazioni antropiche dei territori necessitano di strumenti di pianificazione basati sulla conoscenza dei vari settori che compongono la vita associativa per dar vita ad un piano sostenibile che risaltino la vocazione identitaria dei territori.
Da quando l’uomo ha iniziato a coltivare la terra per soddisfare il suo sostentamento ha perso la sua caratteristica primitiva di nomade stazionando stabilmente in un determinato luogo, creando intorno a se manufatti che potessero soddisfare i suoi bisogni primari e di vita associativa con gli altri suoi simili.
Poiché la prima delle esigenze vitali delle collettività è la produzione di cibo, il territorio naturale è stato convertito in territorio agrario.
I paesaggi che ci presenta il pianeta pertanto si possono definirsi di tre tipi:
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NATURALI: dove l’azione antropica è del tutto assente;
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URBANI: dove l’azione antropica è finalizzata alla trasformazione del territorio ai fini abitativi, produttivi, sociali, ecc.;
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AGRARI o RURALI: dove l’azione antropica è finalizzata alla produzione di cibo o di altri prodotti per il singolo o per la collettività.
Per secoli l’uomo ha vissuto in simbiosi e nel rispetto dell’ambiente circostante poiché conscio di essere anch’egli parte del processo della natura ma con la potenzialità, rispetto agli altri esseri viventi, di poter modificare la stessa secondo i propri bisogni.
Per differenziarsi rispetto ai sui simili, nell’intento di creare le gerarchie sociali che gli permettevano di controllare i processi di governo, si realizzavano manufatti edilizi dove la ricerca estetica diventava l’elemento principale del processo costruttivo. Tale modello consentiva di diversificare anche il rapporto di potere nella scala gerarchica: quanto più era complessa e dettagliata nei particolari la costruzione tanto più, il soggetto detentore del bene, ricopriva un ruolo apicale nella società.
Le città ed i luoghi urbani si sviluppavano solo all’interno delle mura difensive ed intorno ai centri del potere che erano facilmente riconoscibili per maestosità e collocazione strategica.
Anche le attività produttive venivano separate. Nel centro urbano, salvo qualche orto o giardino, avvenivano quelle artigianali e commerciali mentre quelle agricole erano praticate nelle zone rurali. L’industrializzazione, iniziata agli inizi del 1800, ha interessato solo le aree a Nord del Paese per la vicinanza ai confini della Nazione.
Questo modello culturale si è ben radicato in Italia anche dopo il raggiungimento dell’Unità del 1861 e fino al 1945, a seguito della frammentazione del potere che veniva esercitato in piccoli Stati. Ciò ha determinato la creazione di un patrimonio culturale unico al mondo per diversità e ricchezza.
Dal secondo dopoguerra in Italia, la modifica culturale di stampo capitalistico introdotta dai vincitori, ha sviluppato l’urbanesimo creando ed alimentando il fenomeno della speculazione edilizia. In quegli anni di boom economico, il miglioramento delle condizioni di vita si è ripercossa anche nel settore immobiliare con richieste di mercato in linea con la produzione che si realizzava nel periodo. L’attrattività delle città piccole, medie e grandi in quegli anni ha di fatto spopolato le campagne ed i centri minori depauperando il territorio sempre più abbandonato a se stesso.
Oggi assistiamo impotenti ad un nuovo e grave fenomeno: lo spopolamento delle città piccole e medie a favore delle aree metropolitane e verso i Paesi anglo-sassoni con ulteriore impoverimento delle aree soprattutto della fascia appenninica e del sud. In Italia è del tutto assente una politica per risollevare economicamente i “centri minori” i quali non sono riusciti a cogliere né l’industrializzazione degli anni ’70 né oggi possono attrarre le aziende che si occupano dei “servizi” in quanto carenti delle infrastrutture necessarie per competere sul mercato. In queste aree gli unici investimenti sono quelli dei fondi strutturali europei che però sono indirizzati maggiormente allo sviluppo delle aree rurali e, quindi, al settore agricolo. Il mercato delle costruzioni, invece, dipende dalle politiche di sviluppo economico dei territori il cui strumento di riferimento è dato della pianificazione urbanistica. In Italia c’è poca programmazione e pochi sono i comuni che hanno piani urbanistici ancora efficaci ed in linea con le nuove politiche di sviluppo locale che il mercato richiede. La mancata pianificazione dei territori dipende da una obsoleta visione culturale della classe dirigente che associa i piani urbanistici alla cementificazione e non alla rigenerazione di quanto costruito. Si intravedono spiragli innovativi in quei comuni che stanno sperimentando nuove forme di pianificazione incentrata sulla tutela del territorio inteso come paesaggio da salvaguardare per le future generazioni dove si tiene conto non solo della parte urbana ma soprattutto della vocazione agricola del suolo, con un lavoro di studio e analisi, che determina una zonazione agricola pertinente con le caratteristiche locali e con le coltivazioni di pregio presenti.
I beni culturali come caratterizzazione dell’identità locale.
L’Italia possiede il più ampio patrimonio culturale a livello mondiale con oltre 3.400 musei, circa 2.100 aree e parchi archeologici e oltre 43 siti Unesco. Tale patrimonio è costituito da beni artistici mobili ed immobili e da beni architettonici di notevole pregio il più delle volte sconosciuto alle stesse popolazioni residenti che, recuperati e rivalutati, possono divenire una nuova risorsa economica ai territori interessati. Il plusvalore alle opere recuperate non deriva dall’investimento monetario inteso quale intervento per salvare il bene dalla rovina ma dalla possibilità di inserirlo in un contesto integrato dove il bene si identifica come testimonianza del passato e della cultura che ha caratterizzato quel territorio.
La lunga attività monotematica (agricoltura) vissuta dal territorio lo ha segnato in modo indelebile tanto che ancora oggi sono leggibili le testimonianze del passato. Proprio il breve lasso di tempo trascorso (circa 60 anni) può permetterci di salvare, anche per le generazioni future, l’enorme patrimonio culturale derivante da tale settore produttivo.
Ogni territorio, tra l’altro, si identifica per la storia che lo ha attraversato e ricostruibile attraverso l’aggregazione critica dei singoli elementi, archivistici, artistici, storici, architettonici, dei manufatti, ecc. ivi presenti.
Occorre però stabilire se la civiltà contadina del passato possa costituire o meno patrimonio culturale e se tale patrimonio possa costituire sviluppo economico del territorio di pertinenza. Sappiamo da anni che una risorsa fondamentale di grossa attrattività del nostro Paese, per la domanda turistica internazionale, è costituita dall’immenso patrimonio artistico, storico, e culturale e non vi è dubbio che anche le testimonianze delle civiltà contadine facciano parte integrante ed inscindibile dei beni culturali del popolo italiano in generale, le cui radici affondano proprio nelle culture e nelle tradizioni contadine. Il patrimonio ambientale, i suoi paesaggi, le sue atmosfere che oggi connotano campagne, valli, monti, colline, pianure e migliaia di piccoli borghi nel nostro Paese, sono inoltre il frutto dell’opera e dei sistemi di vita del mondo contadino, sono cioè paesaggi umani che vanno conservati e tramandati alle generazioni future.(1)
Sono da inserire in questo contesto non solo le emergenze artistiche o architettoniche di elevato spessore, ma, come prevede anche l’art. 5 della legge n. 135/2001, “contesti turistici omogenei o integrati, comprendenti ambiti territoriali appartenenti anche a regioni diverse, caratterizzati dall’offerta integrata dei beni culturali, ambientali e di attrazioni turistiche, compresi i prodotti tipici dell’agricoltura e dell’artigianato locale, o dalla presenza diffusa di imprese turistiche singole o associate”.
Si comprende che la salvaguardia e valorizzazione dei beni culturali provenienti dalla civiltà contadina possono contribuire allo sviluppo economico di questo territorio.
Tale azione, però, richiede una integrazione sinergica tra i vari soggetti pubblici e privati preposti alla tutela, conservazione, divulgazione, gestione dei beni culturali che devono mettere in rete il lavoro svolto e favorire lo sviluppo economico delle aree interessate.
In un economia ormai globalizzata, il locale si confronta con il globale e l’integrazione tra i due elementi avviene attraverso l’unicità dell’offerta.
Rispetto ai prodotti industriali e commerciali che possono realizzarsi in qualsiasi posto del mondo, i beni culturali possono offrire questa unicità perchè essi non sono ripetibili essendo collocati solo in quel luogo (per vedere il Colosseo bisogna recarsi solo a Roma, per vedere l’arco di Traiano bisogna recarsi solo a Benevento, per vedere la torre Eiffel occorre recarsi solo a Parigi).
Se al singolo elemento storico, artistico, architettonico del territorio si associa la peculiarità dello stesso poichè in esso vi è l’unicità di una veduta, di un paesaggio, di un ambiente, di un prodotto, allora è il territorio stesso che si trasforma e si eleva nel globale divenendo “Identità Locale”.
L’identificazione di un territorio rispetto ad un altro ad esso concorrente non può non passare attraverso il recupero e la valorizzazione dei patrimoni ambientali e rurali, ovvero di beni che appartengono ad un patrimonio diffuso, spesso collocato in contesti minori, costituito da manufatti legati storicamente all’insediamento umano e all’uso dei materiali offerti dalla natura del luogo, in particolare legno e pietra: muri a secco e terrazzamenti, sentieri e mulattiere, pavimentazioni e recinzioni, fontane e lavatoi, canali e opere di presa, chiese rurali, mulini, torri colombaie o di avvistamento, casali, ecc.
Esso rappresenta uno degli elementi di maggior peso per giungere all’Identità Locale perchè è il bene di immediata percezione visiva che trasmette nel visitatore l’immagine che porterà a casa e farà parte della sua esperienza vissuta in quel luogo.
Per il visitatore sarà il marchio (o brand) che identificherà quel luogo e quel territorio.
Bisogna puntare su questi elementi per sdoganare il territorio dal qualunquismo che non premia in un mercato globalizzato.
I singoli attrattori turistici presenti sul territorio da soli non sono sufficienti per soddisfare la domanda internazionale del settore. La ricettività dell’agriturismo è una risposta alla domanda del turismo rurale ma non è sufficiente. Occorre far permanere il turista sul territorio oltre il tempo necessario alla degustazione dei prodotti enogastronomici che l’operatore gli propone. Occorre offrire una serie di servizi collaterali che stimolano il visitatore e lo fanno vivere in uno stato di benessere che solo in quel luogo riesce ad avere.
I beni culturali, artistici, architettonici, ambientali possono assolvere a tale compito.
Allora si comprende che lo sforzo che va effettuato dagli operatori locali, quali Enti Pubblici o privati, onlus, organizzazioni di volontariato, pro loco, associazioni ambientaliste, associazioni di categorie, ecc. è quello di convergere sull’obiettivo condiviso e lavorare per costruire la propria “identità locale”.
La Fabbrica del Paesaggio.
La pianificazione urbanistica di un territorio permette di effettuare una ricerca dei dati con analisi dei manufatti ed attività esistenti sullo stesso per determinarne le potenzialità endogene dal punto di vista economico.
La strumentazione deve basare la sua azione sulla tutela del territorio nonchè sulla vocazione agricola del suolo.
La fabbrica del paesaggio è la costruzione artificiale dei luoghi derivanti dall’azioni dell’uomo sul territorio secondo un modello di sviluppo pianificato e costituisce la percezione visiva che gli individui subiscono da tali trasformazioni. Se la trasformazione del paesaggio è improntato nel rispetto della natura e dei valori condivisi tra gli individui che fruiscono il bene si potranno creare le condizioni di un benessere psicofisico e di piacere per gli stessi fruitori del bene ed il territorio diventa sostenibile. Viceversa, tali alterazioni artificiali possono incidere negativamente sulla natura e nella vita di relazione tra due o più soggetti fino ad interessare l’intera collettività, in tal caso il paesaggio risulta decadente.
Non si tratta solo della individuazione e definizione tra il bello ed il brutto, ma di indicare il limite di valore da attribuire ad un ambiente sano da quello di ambiente degradato, inquinato, contaminato.
Poiché il suolo è un bene non riproducibile da preservare alle generazioni future vi è la necessità che le attività umane siano ecocompatibili ed ecosostenibili in linea con i principi, le politiche e la normativa dell’Unione Europea.
Per la costruzione della fabbrica del paesaggio è stata redatto un diagramma di flusso nella quale sono riportate dettagliatamente le cinque fasi necessarie per raggiungere il prodotto finale:
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prima fase – inventariale
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seconda fase – catalogazione
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terza fase – elaborazione
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quarta fase – formazione ed informatizzazione
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quinta fase – divulgazione
La scientificità perseguita aggiunta alla complessità dei dati raccolti ed elaborati fornisce le linee guida che quel territorio esprime in termini economici, sociali ed antropologici.”