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Federarchitetti protesta sui requisiti previsti dal bando MiBACT per l’assunzione di 500 architetti inviando al Ministro, On.le Dario Franceschini,  la lettera sotto riportata dove esterna le proprie ragioni. 

“Egr. Sig. Ministro,

nel significarle apprezzamento per l’indizione di un sospirato concorso per l’assunzione di 500 funzionari nella P.A. del MiBACT (pubblicato sulla GURI n.96 del 26/04/2016), non ci esoneriamo altresì di protestare vivamente per la richiesta – nel bando per funzionari architetti – del possesso di “diploma di specializzazione, o dottorato di ricerca, o master universitario di secondo livello di durata biennale, in materie attinenti il patrimonio culturale, o titoli equipollenti” quale requisito indispensabile per l’accesso al concorso pubblico e non già quale titolo avente rilevanza per il punteggio.

Federarchitetti è l’Associazione Sindacale di Architetti e Ingegneri Liberi Professionisti esistente dal 1968 e riconosciuta dal Ministero del Lavoro quale Parte Sociale, co-firmataria del CCNL dei dipendenti degli studi professionali tecnici. La protesta che con la presente esprimiamo è legittimata dalla evidenza della lesione dell’interesse della categoria che l’Associazione rappresenta.

I liberi professionisti si interfacciano continuamente con la P.A. in ambito di beni culturali, e di certo auspicano professionalità ed efficienza, ma tale richiesta qualità a nostro avviso non può essere rappresentata dal possesso di titoli derivanti da corsi post-laurea, il cui numero di corsi sul territorio nazionale è esiguo e insufficiente alle aspettative e alle necessità della P.A., e il cui accesso è vincolato anche al possesso di condizioni economiche e finanziarie – dato l’alto costo di alcuni di essi – che limitano il diritto di pari opportunità garantito dalla Costituzione.

Inoltre moltissimi professionisti a nostro avviso oggi possiedono indubbie capacità e professionalità nel settore dei beni culturali, acquisite con l’esperienza e la pratica professionale, e dato il perdurare di una stagnazione drammatica del mercato, possono ambire a ricoprire il profilo professionale richiesto dal concorso.

La Sua scelta, che con la presente si contesta, costituisce un ulteriore colpo basso alla professione, aggiunge danno alla beffa, non “aprendo le porte” e offrendo una preziosa chance ad un gran numero di professionisti rimasti senza la possibilità di esprimere la propria professionalità.

La scelta operata dal Suo Ministero ancor di più mortifica la categoria degli Architetti poiché preclude a quanti con sacrificio abbiano conseguito il diploma di laurea quinquennale e successivamente l’abilitazione all’esercizio professionale la possibilità di accedere ad un concorso che è tra i più ambìti dalla categoria. Allo stesso modo mortifica quanti già da anni svolgono libera professione operando restauri e consolidamenti, senza la necessità di dover possedere titolo alcuno, e che avrebbero senza alcun dubbio molti più “titoli” – anche se non certificabili – di quanti oggi il detto concorso pubblico richiede. E inoltre costituisce un pericoloso “precedente” che dà la stura alla proliferazione di corsi universitari post-laurea e concorre alla “specializzazione” eccessiva della professione, comportando – in questo momento di crisi – una gravissima aspettativa per lo “specializzato” che si troverebbe a non saper fare altro se va in crisi il suo “specialistico” settore.

Alla stessa stregua ci domandiamo perché il solo possesso del titolo post-laurea, ancorchè conseguito da decenni, stabilisca requisito sufficiente e indispensabile, senza alcun riferimento temporale relativo alla data di conseguimento dello stesso. Come è noto, il requisito di abilitazione all’esercizio professionale, propedeutico all’iscrizione all’Ordine degli Architetti, permette lo svolgimento dell’attività professionale soltanto in presenza del requisito di svolgimento dell’obbligo formativo consistente in 30 crediti formativi professionali annui (corrispondenti a 30/40 ore di formazione certificata), il cui non assolvimento comporta sanzione disciplinare ed eventuale conseguente inabilità a svolgere la professione. Perché allora un titolo post-laurea, anche posseduto nel cassetto da anni, può rivestire requisito maggiore della pratica professionale di un architetto oggi necessariamente formato in molti settori della professione compreso quello dei beni culturali?

Federarchitetti auspica una P.A. vicina ai problemi concreti della professione, e la “distanza” che oggi corre tra i due attori del rilancio del territorio e del paesaggio da tutelare (P.A. e liberi professionisti) non può essere colmata da un requisito acquisito nel chiuso di un’aula universitaria e non invece verificato da prove scritte e orali di possesso di idonea pratica conoscenza e professionalità.

Riservandoci di verificare il profilo di legittimità e costituzionalità di tale scelta nelle sedi opportune, anche verificandone le “buone pratiche” presso gli altri paesi dell’Unione Europea, Le chiediamo di riaprire i termini delle presentazioni delle domande ed eliminare tra i requisiti indispensabili all’accesso alle prove concorsuali il possesso di “diploma di specializzazione, o dottorato di ricerca, o master universitario di secondo livello di durata biennale, in materie attinenti il patrimonio culturale, o titoli equipollenti”.”

 

 

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